Ischia, isola vittima del fuoco

L’isola d’Ischia, “verde” per il tufo e – nella versione più popolana – per la folta vegetazione, ha un nemico subdolo e incontrollabile. Da sempre, così da spiegare il culto millenario degli isolani per Sant’Antonio Abate. Parliamo insomma del fuoco, un tempo identificato con la forza distruttrice della lava incandescente (ultima eruzione nel 1302 con la colata dell’Arso), adesso invece visto con paura per i frequenti incendi mossi da piromani o male intenzionati.

Da verde, così, l’isola si fa rossa. Come rosso è il filo che lega il suo ultimo cinquantennio, fatto di fiamme alte e indomabili, di gente del posto e turisti in pericolo. Nessuna vittima, fortunatamente. Allo stesso modo, nessun colpevole. Nel frattempo, però, sono stati cancellati ettari ed ettari di macchia mediterranea, il verde di un’isola mutilata da stolti, da figli degenerati che non rispettano un patrimonio naturalistico unico.

Incendi a Ischia, dagli anni ’60 ai giorni nostri

A dimostrazione che l’isola non è nuova a incendi e roghi incontrollabili, vi segnaliamo una lunga serie di episodi che facciamo iniziare nel lontano 1966. In quell’anno un incendio di grosse dimensioni divampò nelle zone di Ripa e Terzana, nei pressi dei Maronti, con alte fiamme domate in quattro ore dai vigili del fuoco di Ischia e dai rinforzi giunti da Napoli a bordo di motoscafi. Curiosamente, parliamo della stessa zona che nel 2014 è stata interessata da un incendio di grosse dimensioni.

Tremendo l’episodio del 26 agosto 1981, quando furono spazzate via decine e decine di ettari di bosco e terreni coltivati alle pendici dell’Epomeo: nell’occasione furono evacuati alberghi e abitazioni, con le campane delle chiese suonarono a martello per allertare gli ignari del pericolo. E, ancora, 4 ettari al Bosco della Maddalena nel 1993, 3 ettari a Serrara Fontana nell’anno successivo.

«Annus Horribilis» è stato il 2007, quando più di 70 ettari di verde andarono in fumo nei diversi versanti dell’Epomeo e lungo le coste alte dell’isola, interessando i sei comuni dell’isola e specifiche aree come Monte Corvo, Cava Pelara, Toccaneto, Monte Vezzi e Pennanova. Nell’agosto 2008 zone coltivate a vigneti di Punta capo grosso furono ridotte in cenere. Stessa sorte toccò nel 2012 a decine di ettari di macchia mediterranea in località Serrara Fontana, zona Frassitelli-Falanga. A chiudere il cerchio, insieme ai casi di questa estate, un episodio avvenuto nel Luglio 2013, tra Monte Vezzi e Piano Liguori, portando alla distruzione di 5 ettari di campagna coltivata a vite. Nel 2014 si ricorda l’incendio della notte di Ferragosto, che ha interessato Forio e Sant’Angelo, e nello specifico le località Monterone, Chigliole, Sant’Angelo, Succhivo. Da non dimenticare il già citato incendio che ha interessato i Maronti il 22 ottobre.

Aggiornamento. Imponente l’incendio che ha colpito sempre la baia dei Maronti, a Barano, il 6 luglio 2017. Le fiamme hanno avvolto la folta vegetazione della zona, partendo da tre punti differenti (soprattutto dal Serpentone), arrivando a lambire la spiaggia e salendo a tal punto da sfiorare le abitazioni e il ristorante “Paradise”. Nessuna vittima ma la caratteristica vegetazione dei Maronti ha subito pesanti danni.

Incendi a Ischia, l’ombra dei piromani

Un cinquantennio di episodi inquietanti, fortunatamente mai finiti in tragedia. Episodi avvenuti quasi tutti in agosto e legati spesso da due comuni denominatori: il forte vento ad amplificare l’incendio e la zona impervia che rende più difficili le operazioni di spegnimento e soccorso. Punti in comune, questi, che fanno pensare all’azione premeditata. Nonostante l’impegno di Forestale, Vigili del Fuoco e forza preposte, che fanno il meglio in condizioni disagevoli (vedi spending review) e in un clima di assoluta imprevedibilità, il problema è tutto tranne che risolto: anzi, si brancola nel buio, in cerca di colpevoli senza volto.

Così, tra tanta incertezza, negli anni non è stata esclusa alcuna ipotesi: dall’azione dei piromani all’imprudenza del contadino di turno, incapace di domare un «falò» di sterpaglie; dalla mano nera dell’abusivismo, fino ad arrivare alla mano del bracconiere (per portare le prede verso altri lidi, oppure – ipotesi troppo fantasiosa – per liberare il campo visivo, così da cacciare meglio). L’autocombustione, certo, non è un’ipotesi da scartare a priori, ma è chiaro che rappresenti solo una fetta del problema. Nel frattempo, in questo clima di impunità, alle prese in passato con frane e smottamenti, l’isola ha al suo cospetto un nemico subdolo che negli anni ha reso il terreno ischitano sempre più fragile.

Ischia, isola vittima del fuoco
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