“Ischia”, un poema di W.H Auden

Ischia

C’è un tempo per ammettere quel che la spada decide, con corni risonanti salutare il conquistatore,
impassibile, ammantellato e grande a cavallo sotto la svettante bandiera.
Mutamenti del cuore anche dovrebbero essere occasione di canto: come quello
Dichi, lasciato il porto dei crociati, ruppe
Con la nostra abitudine aggressiva
Una volta per sempre e fu il primo
A vedere ogni miserabile come nostro fratello. Poi
In tutti i tempi è bene lodare la terra splendente,
a noi cara sia che si scelga
il dovere o si faccia qualcosa di orribile.
Caro a ciascuno il luogo della sua nascita; ma ricordare una valle
Verde dove i funghi s’ingrossano nelle notti estive
E salici argentati ricopiano
Le circonflessioni del torrente,
non è oggi il mio piacere: ora sono commosso
dalla Partenopea intrisa di luce, il mio grazie è per te,
Ischia, cui un buon vento
M’ha portato a goderti con dei cari amici
Da sporche città produttive. Come bene correggi i nostri occhi feriti, come dolcemente ci insegni a vedere
Uomini e cose in prospettiva
Sotto la tua luce uniforme.
Nobili i piani dell’ingegnere dalla camicia inappuntabile,
ma la fortuna, tu dici, fa di più. Che disegno potrebbe aver lavato
con tali delicati gialli
e rosa e verdi i tuoi porti peschieri
contro l’ampio Epomeo, aggrappati
alle rigide pieghe della tua gonna? … Le caldi sorgenti
che tradiscono la sua febbre segreta svincolano la giuntura irrigidita
e migliorano l’atto venereo; la tua pace ambientale
è comunque una cura, smettendo di pensare
a come andare avanti, apprendiamo
ad andare attorno
per tortuosi sentieri che ad ogni istante rivelano
una qualsiasi vista come traguardo assoluto; a est, forse d’improvviso il Vesuvio
che appare di fronte alla mite baia assolata
come un massiccio budino familiare, o, attorno
a un punto del sud, Capri dal fianco scosceso, che da sola difende il culto del Piacere, un dio geloso e talvolta
crudele.
Con freschi spazi e riparate superfici, anche
Ci offri una ragione di sedere; gustando ciò che le api
Dai castagni fioriti, o uomini
Dai capelli scuri, bassi ma armoniosi
Dal chicco aragoniano distillato, il tuo vino ambrato,
il tuo miele color caffè, crediamo che la vita
sia benvenuta a noi come
sonori esplosivi lo sono per i tuoi santi.
Non che tu menta sul dolore o finga che un tempo
Di buio e grida non abbia a ritornare; sui tuoi
Moli, ricordando al felice
Forestiero che le cose non vanno mai bene,
a volte un asino scoppia in un lamento soffocato
di assoluta protesta a ciò che è il caso o il suo padrone sospira per un Brooklyn
dove le camicie sono di seta e i pantaloni sono nuovi,
ben lontano dagli occhi troppo vigili dell’alta Restituta,
il cui annuale patronato, dicono, è comprato con il sangue.

Questo, benedetta e temibile
Signora, speriamo non sia vero; ma, poiché
Niente è dato gratis, qualunque cosa tu addebiti
Sarà pagato, che questi giornidi esotico splendore
Resistano in ogni vita come
Pietre di marmo in una terra alluvionale.

(Per Brian Howard)

Traduzione di A. Ciliberti

“Ischia”, un poema di W.H Auden
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