Ischia isola amata da scrittori e poeti stranieri. Tra questi anche la tedesca Fanny Lewald (1811-1889), che nel 1847 pubblicò Italienisches Bilderbuch, opera incentrata sui suoi viaggi in Italia tra Milano, Genova, Firenze, Roma, Napoli, Capri, Bologna e – per l’appunto – l’isola d’Ischia. Come si legge sulla Rassegna d’Ischia dell’aprile 2007 (traduzione di Nicola Luongo), la scrittrice femminista rimase particolarmente colpita dalla pace che si respirava sull’isola verde e dalla genuinità dei suoi abitanti.
Ischia nell’Ottocento: isola tranquilla e stupenda
“Ah! così ineffabilmente bella è questa terra! Ogni giorno deve ritornare il dio del sole, quando l’ha vista una volta. Non riesce ad allontanarsene e, poiché essa è così bella, lui l’ama e l’anima con i suoi raggi che riscaldano“. Questo uno dei commenti inequivocabili della Lewald, che si soffermò anche sulla tranquillità che caratterizzava l’isola in quel tempo: “A Ischia c’è una sola carrozza, proprietà dell’uomo più ricco di Forio”, pochi cavalli e solo una mucca e “così predomina un grande silenzio in ogni plaga, non si sentono rumori fastidiosi”.
Gli aitanti ischitani e…la pratica dell’elemosina
“La popolazione di Ischia è bella, con la fisionomia del tipo moro o spagnolo. I più belli mi apparvero gli abitanti di Forio, a cui, nell’ambito delle fisionomia focosa del Sud, il colorito scuro e i capelli corvini conferiscono un particolare fascino“. Insomma, gli ischitani si facevano apprezzare in quanto a bellezza, meno se si pensa alla facilità con cui chiedevano l’elemosina: “Ognuno – sottolineava la Lewald – ritiene del tutto naturale che il forestiero, che ha tanti soldi per viaggiare, ne consegni una piccolissima parte al povero isolano“. E fa anche un esempio: “Un sarto, che lavorava con molti aiutanti davanti alla sua porta, una volta s’alzò in piedi, si avvicinò al nostro gruppo e disse molto fiducioso: «Signori, datemi qualcosa!»“.
Si festeggia a suon di “Ti voglio bene assai”
Elemosina pratica non proprio simpaticissima, ma un risvolto positivo c’era: l’organizzazione delle feste patronali, che ieri come oggi caratterizzavano le tante frazioni isclane: “Volentieri si dona a loro un po’ di denaro, quando si pensa che con questo essi preparano le loro allegre feste. Oh! Tali feste di chiesa in riva al mare, a Ischia, a Casamicciola, a Lacco o a Forio sono la cosa più gioiosa al mondo. In poche ore sorgono all’aperto altari e cappelle, davanti a cui passano e si fermano le processioni, per farsi benedire. Dove appare la processione, scoppiano botti nell’aria limpida. Colonnati intrecciati di mirti in fiore si estendono sino al mare, illuminati da luci in carta colorata. Dovunque, da tutte le strade, da tutte le valli e le alture, risuonano le due canzoni preferite: Luisella e Ti voglio bene assai“.
Ischia di una volta: l’economia prima del turismo
L’isola verde all’epoca si difendeva bene (vedi il predominio di Casamicciola), ma certamente non era ancora una ‘macchina da guerra’ del turismo. L’economia ischitana, così, si reggeva su altro: “L’industria principale a Ischia è la lavorazione dei vasi di terracotta, utilizzati per il trasporto dell’acqua, e di quelle mattonelle con cui al Sud si pavimentano le stanze. L’argilla, con cui esse si fabbricano, è vulcanica e viene ricavata dall’Epomeo“. Spazio anche per “la viticoltura, che dà da vivere agli ischitani e agli altri abitanti delle isole. Tutte queste isole sono ricoperte di vigneti, nelle rocce si trovano scavate delle grandi cantine e di continuo si vedono asini carichi di piccoli barili da portare dalle cantine sino alla marina, dove il vino viene trasportato con piccole navi fino a Civitavecchia“.