Ischia, la tragedia del Monte Vezzi
Attualità · Pubblicato
Le triste vicende del 30 aprile 2006, quando persero la vita Luigi Buono e le tre figlie
Monte Vezzi, Ischia, mattina del 30 aprile 2006. Ore 7.00. Un frastuono incredibile sveglia la gente di Via Arenella e delle zone limitrofe. Dopo quarantotto ore di pioggia incessante in tanti pensano ad un tuono, e invece si tratta della frana che uccide Luigi Buono e le tre figlie (Anna di 18 anni, Giulia di 12 e Maria di 16). Per miracolo non trovano la morte la moglie di Buono, Orsola Migliaccio, e la nipotina di tre anni. Il fango sommerge completamente la casa, tanto che ne rimane visibile solo il tetto, mentre sfiora solamente un’abitazione vicina. Sul posto giungono Carlo e Giuseppe Livio, due giovani cugini delle vittime che scavano con le mani nel disperato tentativo di salvare i parenti. Ma non c’è niente da fare. Il bilancio potrebbe contare altre vittime, se si pensa alla seconda frana che colpisce i soccorritori giunti in mattinata. In quel caso nessun morto, solo qualche ferito.
Distrutta così una famiglia come tante: Luigi si guadagnava da vivere facendo il cuoco in un noto ristorante della zona; Giulia, la più piccola, andava a scuola; Anna era impiegata come commessa in un negozio di abbigliamento; Maria lavorava in un supermercato e il 9 maggio avrebbe compiuto 17 anni
Monte Vezzi d’Ischia, sfollati ancora in attesa
I proprietari degli immobili situati nella zona rossa vengono trasferiti in container in Via Michele Mazzella, negli spazi dell’ex camping: molti vivono ancora lì (agosto 2014), in condizioni spesso ai limiti. Per questo, negli anni si sono succedute le proteste degli occupanti: come dimenticare quella del dicembre 2008 quando, sul tetto del Comune d’Ischia, la vedova Orsola Migliaccio minacciò di darsi fuoco esasperata dal mancato appoggio delle istituzioni locali. Più recentemente ricordiamo l’incendio che nel marzo 2012 interessò uno dei container che ospitano ancora oggi gli sfollati in Via Michele Mazzella (nella zona dell’ex Camping). All’epoca bastò un fornellino rimasto acceso per scatenare le fiamme che solo per un caso fortuito non fecero vittime (e pensare che tra gli occupanti c’erano dei bambini).
Sono passati anni dalla tragedia, ma poco (o niente) è stato fatto di concreto nonostante richieste di risarcimento, proteste e lunghe trattative con Regione e Città Metropolitana.